L’importanza di andare piano…cronaca di una LUT 2015 andata male.
Esistono i top runners, quelli che macinano 119 km e 5850m D+ in poco più di 12 ore, ed esistono i runners umani che riescono a finire una LUT entro il tempo limite di 30 ore.
Io aspiravo ad essere uno di questi ultimi, avevo già in passato completato corse lunghe, anche una CCC da 101 km e con dislivello leggermente superiore alla gara che stavo per affrontare, ma questa volta ahimè le cose sono andato diversamente: mi sono dovuto ritirare.
Dopo la partenza in notturna archiviata la prima salita, la conseguente discesa e di nuovo una salita a ritmi sostenuti ma (credevo) sostenibili, ecco la seconda discesa, ripida (almeno la prima parte) che portava al primo cancello di Federvecchia. L’ho iniziata anche questa di buona lena, sorpassando altri ultratrailers ma man mano che correvo ho iniziato a ad avvertire dolori all’esterno delle ginocchia.
Ho tenuto duro convinto che, come in altre corse in passato fosse solo un momento passeggero, invece mi ha accompagnato sempre più presente fino in valle, al ristoro. Da li iniziava una salita che, a parte una piccola e quasi inesistente discesa e piano al lago di Misurina, mi avrebbe portato fino al rifugio Auronzo, secondo cancello orario e ristoro situato appena sotto le splendide tre cime di Lavaredo.
In salita fortunatamente non avvertivo dolore per cui ho iniziato a “macinare” e salendo sorpassavo diversi concorrenti. Ma ahimè la quasi inesistente discesa (un paio di centinaia di metri in piccola pendenza) mi provocava dolori molto forti alle ginocchia. La conseguenza? I runner che in salita con molto impegno e fatica avevo sorpassato, mi sverniciavano agili e veloci lasciandomi indietro a soffrire.
Km 38 su 119…che fare? Gara finita? Fare altri 81 km in quel modo sarebbe stato forse irresponsabile e deleterio per i prossimi mesi di corsa, visto soprattutto che avrei dovuto affrontare la discesa Auronzo a Cimebanche che sembrava veramente tosta.
Ma gli ultrarunners sono tosti (forse un po’ matti) quindi l’idea dell’abbandono non mi convinceva pienamente.
Volevo anche vedere le tre cime da vicino.
Ideona! “In salita sto bene e allora vado su fino al ristoro, vediamo come sto magari con un po’ stretching e ghiaccio riesco a mettermi alle spalle il dolore”
Ghiaccio? E perché no… a Misurina prima di affrontare un bel pezzo di salita mi sono fermato presso un’ambulanza della CRI e voilà in men che non si dica sono ripartito con due belle borse del ghiaccio nastrate selle ginocchia. Pensavo che mi avrebbero alleviato il dolore e l’infiammazione mentre salivo e che a quel punto avrei potuto affrontare la discesa senza sofferenza.
Purtroppo mi sbagliavo…arrivato al ristoro ho sperimentato che le mie ginocchia non erano in condizioni per affrontare una lunga discesa, e riconoscendo i miei limiti con grande dispiacere ho dovuto ritirarmi…
Per fortuna ho potuto continuare la gara come assistenza , ovvero ho seguito e fatto da appoggio ai ristori (e qualche volta nei tratti prima accompagnandoli zoppicando) i miei compagni ancora in gara.
Alla fine vi state chiedendo ma che centra il titolo? Ve lo spiego subito…mi capita spesso di farmi prendere dal gruppo, dalla folla, dall’energia di essere in tanti e di partire ad un ritmo troppo sostenuto almeno per me. Quindi è fondamentale capire che tipo di runners si è e quale è il proprio obbiettivo e sforzarsi di mantenere l’andatura corretta commisurata alla lunghezza della corsa ed il tempo che si vuole e si potrebbe impiegare. Se non avessi forzato sulla prima discesa e su metà della seconda, probabilmente non mi sarei dovuto ritirare al km 50 dopo 300 metri di salita… ma da questa corsa ho imparato ancora una volta molto: insomma a volte è importante andare piano!